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IL NOTAIO ANSELMO ANSELMI

Il Notaio Anselmo Anselmi (Viterbo 19 Dicembre 1863 - Bagnala (Viterbo) 5 Ottobre 1943) al cui nome si intitola la Scuola di Notariato di Roma, è ritenuto uno dei più acuti e sapienti studiosi della storia e della tecnica notarile («arte», come volle chiamarla lui, pur così modesto e schivo per tutto quello che riguardava invece la sua persona e le sue opere). Laureatosi all'Università di Roma nel 1886, in un'epoca nella quale era sufficiente aver compiuto soltanto alcuni corsi universitari ed averne supera-to gli esami per conseguire la nomina a Notaio, egli iniziò ad esercitare la professione paterna in uno dei periodi di maggior decadenza della storia plurisecolare del notariato.

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Tanto più grande fu pertanto il suo merito nell'aver lottato per riportare la professione a quel piano di dignità e di prestigio che a suo avviso le competeva. Questa lotta fu attuata soprattutto mediante l'insegnamento e l'attività pubblicistica, e si può dire che entrambe dette attività furono a lui congeniali e familiari. Quanto all'insegnamento, certamente gli giovò l'esperienza didattica fatta in discipline severe quanto impegnative, quali l'economia politica, la statistica e la scienza delle finanze (conseguita l'abilita-zione nelle quali, egli insegnò nell'Istituto tecnico «Paolo Savi» di Viterbo) per fondare a Roma nel 1900, a sua iniziativa e a sue spese, la «Scuola libera di notariato». Questa Scuola, alla quale si formarono generazioni di notai, acquistò ben presto e mantenne fama e prestigio per la serietà dell'insegnamento, oltre che per il largo respiro culturale dei corsi.

Anselmo Anselmi infatti non fu soltanto, come è stato detto, «erudito senza pedanteria, sapiente senza disprezzo delle altrui insufficienze e generoso senza speranza di gratitudine o di riconoscimenti», ma seppe trasfondere nell'in-segnamento quell'arte segreta dell'umanità e dell'affetto che egli aveva appreso nella sua lunga attività di esercizio professionale.

Egli diceva infatti che il notaio è un testimonio privilegiato, meritevole di speciale fiducia, «ma perché egli sia pari all'altezza delle sue funzioni, deve essere singolarmente probo ed abbastanza colto, poiché non può esistere fiducia senza probità, allo stesso modo che questa, non accompagnata dalla dottrina, si risolve in insufficienza e miseria».
Né deve trarre in inganno l'«abbastanza» riferita a «colto», se si tiene presente che l'Anselmi lasciò alla biblioteca provinciale di Viterbo la sua preziosa raccolta, comprendente ben 5.850 volumi e fu egli stesso autore di prestigiose pubblicazioni scientifiche.
La prima opera dell'Anselmi è ormai un classico della letteratura notarile contemporanea: si tratta dei «Principi d'arte notarile», la cui prima edizione (Roma 1921) fu seguita da numerose altre (Roma 1922, Roma 1927, Viterbo 1933, Roma 1950, quest'ultima riveduta ed aggiornata a cura dell'Avv. E. Bellucci e dal Notaio B. Checchi, con l'introduzione del Notaio A. Giuliani).
Seguirono monografie e saggi dedicati a problemi particolari, principali tra i quali: «Gli esami di stato per i notari» (Viterbo 1925), Le scuole di notariato in Italia (Viterbo 1926), In difesa del notariato (Viterbo 1927) ripubblicato con il titolo «Il notariato in un sogno cattivo», in Riv. not.., 1958, p. 684 e ss., «Gli autoveicoli, i contratti di trasferimento e i privilegi» (Viterbo 1930), «La giurisdizione volontaria» (Viterbo 1985).
Particolare importanza rivestono infine due opere, di larga impostazione culturale e di eccezionale ricchezza di informazione e dottrina: la «Bibliografia del notariato pratico» e il «Dizionario pratico del notariato».

La prima opera (Viterbo 1930) è stata giustamente definita un'autentica miniera di notizie bibliografiche, raccolte ed ordinate secondo criteri scientifici, notevole per la dovizia delle informazioni, la vastità del materiale, la chiarezza dell'esposizione.

Ma il capolavoro dell'Anselmi è costituito senz'altro dal «Dizionario pratico del notariato». Si tratta di quattordici volumi rilegati, in fogli quadrettati, ricoperti da una scrittura chiara ed ordinata, che riflette il carattere e la mente dell'Autore.

L'opera, veramente senza confronti nel suo campo, è caratterizzata per l'essere stati i concetti giuridici in essa esposti ridotti all'essenziale, sotto il profilo della loro concreta funzionalità: si riflette in essa la circostanza che l'Autore proprio dalla sua lunga attività professionale aveva appreso la fondamentale verità che le leggi sono dettate da un'esigenza di vita, e mai questa può costringersi ad essere un riflesso di quelle (del resto, non aveva già detto Cicerone, due millenni prima, che «hominum causa omne jus constitutum est?»).

Giustamente si è detto pertanto che in questa sua opera l'Anselmi riassunse, nello stile piano ed obbiettivo che gli era consueto, le sue esperienze di diritto vivente, in una traccia che non sfuma mai nelle nebbie di una teorizzazione rivolta, con il suo ermetico linguaggio (le «formule magiche della scienza giuridica», come direbbe un geniale ex giovane autore tedesco) ad una ristretta cerchia di iniziati, molto spesso sprovveduti di fronte ai problemi della realtà. Purtroppo quest'opera monumentale e fondamentale, della quale venne pubblicato soltanto il primo volume, di oltre 500 pagine, con le voci comprese tra le lettere alfabetiche A e B, al quale seguirono, sino al maggio 1932, altre cinque dispense per complessive oltre 300 pagine, con le prime voci della lettera C, attende ancora il suo editore.

E auspicabile che questa attesa abbia alfine termine e che l'opera, finalmente stampata come meritava e come merita, corredata dei necessari aggiornamenti, possa essere maggiormente disponibile e conosciuta.